3 apr 2024 | 6 min di lettura | Pubblicato da Cristina B.
Welfare aziendale più ampio e ricco; nei piani erogati dalle aziende ai propri dipendenti, entrano anche i costi della famiglia come affitti, bollette, prestiti, e, non ultimo, gli interessi passivi delle rate sui mutui. Vediamo insieme di cosa si tratta.
La legge di bilancio ha introdotto in via sperimentale, e cioè al momento per il solo 2024, un innalzamento della soglia dei fringe benefit (erogazioni e emolumenti esentasse) che le aziende possono riconoscere ai propri dipendenti. La soglia è stata innalzata a 1000 euro se non ci sono figli a 2000 € in presenza di figli, dai precedenti 258 euro.
La legge è intervenuta a modificare l’articolo 51 del Tuir (Testo unico delle imposte sui redditi) che è la norma sui fringe benefit:
“in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non concorrono a formare il reddito, entro il limite complessivo di 1.000 euro, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, delle spese per l’affitto della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa. Il limite di cui al primo periodo è elevato a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti e i figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2, del citato testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. I datori di lavoro provvedono all’attuazione del presente comma previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti”
In altre parole, sono esentasse, ovvero non tassate, somme che l’azienda eroga nei limiti di 1000 o 2000 euro per pagare le bollette di acqua, gas e luce nonché affitto dell'abitazione principale e interessi passivi del mutuo prima casa.
Se si superano i limiti di queste somme, sarà tassato l’intero importo.
L’Agenzia delle entrate ha dunque pubblicato la circolare 5/24, che fornisce alcune informazioni sulle procedure da seguire.
Intanto si sofferma su cosa bisogna intendere come prima casa, rimandando alla nozione che già è utilizzata quando si tratta di detrazioni o canoni di locazioni. Prima casa coincide con abitazione principale, quella nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente.
Come sostegno documentale, rifacendosi a altre indicazioni fornite in passato, l’Agenzia propone come rilevanti le risultanze dei registri anagrafici o l’autocertificazione, effettuata ai sensi dell’art. 47 del DPR n. 445 del 2000, con la quale il contribuente può attestare anche che dimora abitualmente in luogo diverso da quello indicato nei registri anagrafici e che la detrazione spetta al contribuente acquirente ed intestatario del contratto di mutuo, anche se l’immobile è adibito ad abitazione principale di un suo familiare (coniuge, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo grado).
Bisognerà allegare dei documenti che provino la condizione da portare nei fringe benefit. In questo caso, si ritiene che le spese debbano riguardare immobili ad uso abitativo posseduti o detenuti, sulla base di un titolo idoneo, dal dipendente, dal coniuge o dai suoi familiari, nei quali il dipendente o i suoi familiari (di cui all’articolo 12 del TUIR) dimorino abitualmente, a condizione che ne sostengano effettivamente le relative spese.
Con particolare riguardo alla locuzione «spese per l’affitto», si ritiene che debba farsi riferimento al canone risultante dal contratto di locazione regolarmente registrato e pagato nell’anno.
La circolare evidenzia una informazione importante. Il contribuente deve scegliere se seguire il percorso tradizionale della detrazione per quanto riguarda le spese d’affitto e quello degli interessi passivi sui mutui, oppure farli rimborsare dal datore di lavoro nei fringe benefit. Non possono esistere due formule di agevolazioni contemporaneamente.
Più precisamente, il contribuente non potrà beneficiare delle agevolazioni previste per le medesime spese, quali, ad esempio, la detrazione prevista, per l’abitazione principale, degli interessi passivi per mutui o dei canoni di locazione, in quanto queste ultime, poiché oggetto di rimborso, non possono essere considerate effettivamente sostenute.
Da ultimo, si precisa che, ai fini documentali, è necessario che il datore di lavoro, nel rispetto delle regole relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, acquisisca e conservi, per eventuali controlli, la relativa documentazione per giustificare la somma spesa e la sua inclusione nel limite di cui all’articolo 51, comma 3, del TUIR.
In alternativa, il datore di lavoro può acquisire una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che attesti il ricorrere, in capo al medesimo dichiarante, dei presupposti previsti dalla norma in esame, da conservare per eventuali controlli da parte degli organi a ciò deputati.
In ogni caso, al fine di evitare che si fruisca più volte del beneficio in relazione alle medesime spese, è necessario che il datore di lavoro acquisisca anche una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che attesti la circostanza che le stesse non siano già state oggetto di richiesta di rimborso, totale o parziale, non solo presso il medesimo datore di lavoro, ma anche presso altri.
La circolare prende in considerazione l’aspetto relativo all’andamento dei tassi di interesse. Spiega che, per fronteggiare le fluttuazioni che hanno interessato il 2022 e il 2023, ora si prende come riferimento la differenza tra l’ammontare degli interessi calcolato al Tur e l’ammontare degli interessi calcolato al tasso effettivamente praticato al dipendente sui prestiti, nella misura del 50%. In precedenza si prendeva come parametro di riferimento il Tur vigente al 31 dicembre di ogni anno.
Ora si dovrà individuare come segue, in base alla tipologia di prestito:
Per i prestiti a tasso fisso viene in sostanza ripristinata l’impostazione in vigore prima della modifica all’articolo 51, comma 4, lettera b), del TUIR apportata dall’articolo 13, comma 1, lettera b), numero 4), del decreto legislativo 23 dicembre 1999, n. 505, in base alla quale il tasso ufficiale da assumere come parametro fisso di riferimento è quello vigente alla data di concessione del prestito.
Qui, tutte le novità dei fringe benefit sui prestiti.
Il metodo di calcolo che riporta la circolare è abbastanza complesso. Si dovrà operare la differenza tra gli interessi calcolati al tasso ufficiale di riferimento e gli interessi calcolati al tasso effettivamente praticato, riducendo il risultato della metà. Questa somma sarà l’importo che concorre alla formazione del reddito imponibile.
L’importo così determinato viene assoggettato a tassazione alla fonte al momento del pagamento delle singole rate del prestito stabilite dal relativo piano di ammortamento. In caso di prestiti a tasso variabile, caratterizzati da una variazione del tasso di interesse iniziale, il prelievo alla fonte viene effettuato alle scadenze delle singole rate di ammortamento del prestito, tenendo conto anche delle variazioni subite dal tasso di interesse iniziale.
Giornalista professionista dal 2004 e vicecaporedattore per ItaliaOggi, scrive del Fisco in ogni sua forma. Ha fatto incursioni su Classcnbc e Tgcom per raccontare le novità di manovra di bilancio, sanatorie fiscali e storie di elusione.
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