22 ott 2018 | 5 min di lettura | Pubblicato da Valerio S.
A partire dallo scorso mese di maggio è tornato alla ribalta l’andamento dello spread, ossia del differenziale del rendimento tra i titoli di stato decennali italiani (Btp) rispetto agli omologhi tedeschi (Bund). Tale valore, diventato “famoso” nell’estate del 2011 – in occasione della tempesta finanziaria che si è abbattuta sul debito italiano – quando è raddoppiato nel giro di due appena due settimane.
Da allora lo spread si è sempre mantenuto ben al di sopra di quota 200, vale a dire oltre i due punti percentuali di rendimento tra Btp e Bund. Le conseguenze di questa dinamica sono ormai noti, avendo invaso negli ultimi anni le cronache (non solo quelle economiche) e condizionando l’agenda politica dei diversi governi che si sono succeduti: dall’incremento degli interessi dovuti dallo Stato italiano sui titoli di nuova emissione alla perdita di valore dei titoli già in circolazione sul mercato secondario, con conseguenze pesanti in primo luogo per le banche (ma anche per tutti gli altri investitori detentori dei titoli di stato) alla luce delle minusvalenze latenti, che comportano svalutazioni e quindi un indebolimento patrimoniale.
Ma come influisce, se influisce, lo spread Btp-Bund sui mutui sottoscritti dalle famiglie italiane? In primo luogo bisogna ricordare che il sistema economico, soprattutto al giorno d’oggi, è altamente interconnesso, quindi qualunque scossone riguardi una categoria di player (banche centrali, stati, istituti di credito, assicurazioni, fondi pensione) è destinato a riverberarsi in qualche maniera anche su tutti gli altri. Di primo acchito, date le conseguenze nefaste per l’economia che ormai vengono comunemente associate al temuto incremento dello spread, si potrebbe pensare che ciò comporterebbe svantaggi anche per chi vuole acquistare casa e intende recarsi in banca a chiedere un mutuo.
Va tuttavia subito precisato che un’impennata dello spread, per quanto repentina, non incide in maniera diretta sui mutui. O almeno non nel breve periodo. Anzi, per una serie di ragioni connesse al funzionamento dei mercati, in maniera apparentemente un po’ paradossale potrebbe perfino comportare un risparmio per i mutuatari. Vediamo perché. I finanziamenti ipotecari stipulati da chi acquista un immobile possono essere a tasso fisso o variabile. In entrambi i casi la percentuale degli interessi passivi applicata dalla banca è costituita da due componenti: uno “spread” (che non va però confuso con lo spread Btp-Bund), ossia la commissione praticata dall’istituto, e il tasso vero e proprio. Nel caso dei prestiti a tasso fisso quest’ultimo è parametrato all’indice Eurirs, mentre per i mutui a tasso variabile si fa riferimento all’Euribor (destinato a essere sostituito da un nuovo indice entro il 2020).
Trattandosi di tassi generati sul mercato interbancario, ossia quel mercato monetario dove operano esclusivamente gli istituti di credito (chi ha eccesso di liquidità la presta a chi necessità di liquidità), è naturale immaginare come il rincaro degli interessi sul mercato primario dei titoli di stato comporti una crescita anche dal funding necessario a una banca per finanziarsi. Sebbene gli effetti possono variare, anche sensibilmente, da banca a banca (non va dimenticato che quelle più “sane” possono finanziarsi a zero presso la Bce), in realtà non sempre è così. Gli indici Euribor, per esempio, sono legati principalmente alle decisioni di politica monetaria della Banca centrale europea. La quale, più la tensione finanziaria (e quindi lo spread) aumenta, più è restia nell’operare una stretta monetaria con un innalzamento dei tassi, rimandando quindi in avanti il momento in cui i mutui a tasso variabile inizieranno a costare di più. Nel breve termine, quindi, gli indici Euribor, che già si muovono in territorio negativo ormai da circa tre anni, potrebbero perfino contrarsi ulteriormente a fronte di un’accelerazione dello spread Btp-Bund. Nel medio-lungo periodo, invece, il maggiore costo della raccolta a cui vanno incontro alcune tipologie di banche, sia sul fronte dei depositi, sia su quello dei bond, tenderà a causare un incremento anche dei tassi passivi.
E per quanto riguarda i mutui a tasso fisso? Secondo l’ultimo bollettino ABI, essi continuano a risultare la forma di finanziamento ipotecario preferito dalle famiglie italiane. Lo scorso mese di agosto circa il 70% dei mutui erogati erano proprio a tasso fisso. Per chi ha già in essere il finanziamento, il saliscendi dello spread Btp-Bund non incide, in quanto i termini del contratto sono già stati definiti per tutta la durata del piano di ammortamento (fatta salva la possibilità, per il mutuatario, di chiedere la revisione delle condizioni, la sostituzione, la surroga, etc.). I nuovi mutui si muovono invece sulla strada tracciata dall’indice Eurirs. Quest’ultimo non è altro che il tasso giornaliero di riferimento che esprime in media il livello al quale le principali banche europee sottoscrivono swap per coprirsi dal rischio di interesse. A differenza dell’Euribor, che è più sensibile al costo del denaro deciso dalla Bce e “guarda” al breve/brevissimo termine, l’Eurirs “ragiona” su un arco temporale più lungo, prendendo a riferimento l’andamento dei titoli di stato dei principali paesi sulle rispettive durate. Poiché il Bund tedesco è il titolo di stato più sicuro tra quelli del vecchio continente, l’Eurirs presenta storicamente una forte correlazione. Quando la tensione finanziaria dovuta al rischio paese aumenta, gli investitori cedono i titoli degli stati periferici e corrono ad acquistare quelli tedeschi, comportando quindi un apprezzamento di questi ultimi e assottigliandone i rendimenti. Ciò non fa altro che ridurre la componente Eurirs dei mutui a tasso fisso, che finiscono quindi per essere più convenienti rispetto ai momenti di serenità dei mercati. Anche in tale ipotesi, perciò, un rincaro dello spread può finire per favorire i neo-mutuatari.
Marchigiano di nascita, vive e lavora a Milano dal 2006. Valerio, giornalista professionista, scrive di diritto, fisco (nazionale e internazionale), e giustizia tributaria per ItaliaOggi.
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