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Salario minimo: il Parlamento ne discute ma non tutti sono d'accordo

17 giu 2022 | 4 min di lettura | Pubblicato da Marco B.

conti news salario minimo a che punto siamo in italia

In Parlamento si parla di salario minimo: per un dipendente non dovrebbe essere inferiore a €9 lordi l'ora, secondo il disegno di legge che porta come prima firma quella dell'ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo (M5S). E nonostante ci sia una direttiva da parte dell'UE, in Italia non tutti sono d'accordo.

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Il risultato per i lavoratori italiani? Un salario minimo netto di poco superiore ai €1.000 mensili.

L'Italia (con Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia) è uno dei pochi membri dell'Unione europea a 27 che non ha una disciplina in materia e la protezione del salario minimo è fornita esclusivamente dai contratti collettivi.

In altri 21 Stati esistono salari minimi fissati per legge: dai €332 mensili in Bulgaria (il più basso) ai €2.257 in Lussemburgo (il più alto).

Quasi uno su tre prende meno

Secondo il quotidiano la Repubblica, oggi in Italia sono 4,6 milioni (il 30% del totale) i lavoratori che guadagnano meno di quei €9 orari: il 26% di quelli impegnati nel settore privato, il 35% degli operai agricoli, il 90% dei lavoratori domestici.

Soprattutto nel contesto odierno, dove la guerra in Ucraina sta avendo impatti sull'economia di diversi paesi, tra cui l'Italia, dove stiamo già assistendo a un generale aumento dei prezzi, la discussione su un salario minimo sembra che non si possa più rimandare.

La direttiva europea

Nel frattempo anche l'Unione europea sta incoraggiando questa scelta. Il 7 Giugno l'EMPL (commissione del Parlamento europeo per le Politiche sociali e l'occupazione) ha annunciato il raggiungimento di un accordo proprio a proposito di una direttiva UE sul salario minimo.

A livello nazionale

Una direttiva che, come le altre, non obbliga gli Stati ad adeguarsi automaticamente, però fissa un obiettivo che tutti i Paesi dell'UE dovrebbero realizzare attraverso disposizioni, anche diverse, definite a livello nazionale.

L'obiettivo è quello di uniformare il trattamento nell'Unione. Come? Fissando un ammontare che dovrà essere pari ad almeno il 60% del salario medio oppure stabilendo l'importo attraverso la contrattazione collettiva con sindacati e forze sociali.

Potrebbe essere uguale per tutti o variare in base ai singoli settori.

La maggioranza è divisa

In Italia il ddl Catalfo, citato prima, è bloccato in Parlamento e sembra arduo riuscire ad arrivare al varo entro un anno, quando finirà questa legislatura. Con pochissime possibilità di essere approvato in questo lasso di tempo.

La maggioranza che sostiene il Governo è divisa. C'è chi lo ritiene inutile e chi pensa che sia necessario: per offrire più tutela a chi lavora, evitando compensi troppo bassi.

Si rischia più lavoro nero?

Per esempio, il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta (Forza Italia) ritiene che già la contrattazione collettiva tenda a fissare una retribuzione base per ogni settore, cui ogni azienda deve adeguarsi.

Per qualcuno c'è il rischio che la paga minima fissata a livello centrale sia più bassa di quella stabilita dai singoli accordi collettivi (ben 985 in Italia), oppure che possa incoraggiare il ricorso al lavoro nero irregolare.

Le posizioni favorevoli

Altri sostengono però che, senza salario minimo, alcuni degli accordi collettivi potrebbero fissare retribuzioni più basse di €9 l'ora.

Sono favorevoli all'introduzione della novità il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, e quello del PD, Enrico Letta. Concorda il Ministro del Lavoro, Andrea Orlando (PD).

Lo appoggiano, con varie sfumature, anche i sindacati, purché quel tipo di retribuzione non prenda il posto dei contratti nazionali che prevedono minimi più alti.

Bankitalia: Evitare gli automatismi

Ignazio Visco, governatore di Banca d’Italia, non è sfavorevole, ma sostiene che va architettato bene, evitando gli automatismi, in modo che non disincentivi le assunzioni.

Giancarlo Giorgetti (Lega), ministro per lo Sviluppo economico, non lo esclude comepossibilità, purché non faccia aumentare i costi per le imprese.

Confindustria: No a più costi per noi

L'imprenditore Maurizio Stirpe, vicepresidente di Confindustria, ha detto: Non avremmo nulla in contrario, ma ad alcune condizioni: nel senso che i costi dello stipendio minimo non dovranno pesare sulle aziende.

Uno dei modi fondamentali per raggiungere quest'ultimo obiettivo consiste nel diminuire le tasse sul lavoro, quindi si dovrebbe fare tutto a spese dello Stato.

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