30 set 2021 | 2 min di lettura | Pubblicato da Raffaele D.
La qualità dell’aria in Europa e in Italia sta migliorando ma non abbastanza, nonostante le misure introdotte per contrastare il fenomeno dell’inquinamento atmosferico.
Dal 2013 al 2018, infatti, le emissioni di sostanze inquinanti sono diminuite solo del 12% nei Paesi europei aderenti all’OCSE: significa che il nostro continente continua a produrre e a immettere nell’aria milioni di tonnellate di sostanze nocive.
Nello specifico, secondo i dati Eurostat (gli ultimi attualmente disponibili), nel 2018 in Europa sono stati prodotti 6,40 milioni di tonnellate di ossidi di azoto, 6,20 milioni di tonnellate di composti organici non metanici, 3,60 milioni di tonnellate di ammoniaca, 1,90 milioni di tonnellate di ossidi di zolfo, 1,80 milioni di tonnellate di Pm10 e 1,10 milioni di tonnellate di Pm2,5. Gli ossidi di azoto provengono principalmente dai gas di scarico dei veicoli, ed è questo uno dei motivi per cui si vogliono mettere al bando le auto con motore termico dal 2035).
I più subdoli sono però i Pm (polveri sottili), che per le loro dimensioni estremamente ridotte riescono a penetrare in profondità nel sistema respiratorio, e hanno inoltre la capacità di resistere a lungo nell'atmosfera. Come qualità dell’aria l’Italia sta purtroppo migliorando ancor più lentamente di altri Paesi e i numeri peggiori si riscontrano proprio nella produzione di Pm, che per quanto riguarda i Pm10 ci vede al quinto posto in Europa su 27 nazioni, mentre a livello di Pm2.5 siamo ingloriosamente primi.
Un 'primato' di cui c’è poco da vantarsi perché il Pm2.5 è una delle sostanze inquinanti più pericolose per l’uomo a causa del suo diametro minuscolo (meno di 2,5 millimetri, da cui il nome) che gli permette di raggiungere agevolmente i polmoni con tutte le conseguenze che possiamo immaginare. L’Italia ne produce una quantità superiore alla media europea soprattutto per via dell’altissimo numero di veicoli inquinanti, per la vasta zona industriale presente nella pianura Padana (che ha pochi eguali in Europa) e per le antiquate modalità di riscaldamento domestico. Il risultato? Quasi il 7% delle morti annuali in Italia (circa 30.000 persone) sono dovute all’esposizione al Pm2.5.
C’è però una notizia incoraggiante: nonostante il primato europeo e nonostante molte città italiane, su tutte Milano, Torino e Brescia, si ostinino a eccedere i limiti raccomandati dall’OCSE, negli ultimi anni la concentrazione di Pm2,5 nell’aria dei centri urbani italiani è segnalata in diminuzione. Ma c’è ancora molto da fare.
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