2 ott 2024 | 5 min di lettura | Pubblicato da Giusy I.
Tutti i versamenti e i prelievi effettuati sul conto corrente di un professionista o di un’azienda possono incidere sul reddito.
A metterlo nero su bianco, in due recenti sentenze, la numero 21220 e la numero 21214, è stata la Corte di Cassazione che è tornata a ribadire la propria posizione circa un tema molto attuale: quello della presunzione bancaria.
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La novità introdotta dai giudici di piazza Cavour è che le disposizioni valgono non solo per i redditi d’impresa, ma anche per quelli da lavoro autonomo. Prima di entrare nel dettaglio, però, vediamo cos’è la presunzione bancaria, un concetto fondamentale nel panorama fiscale italiano, poiché gioca un ruolo cruciale nella valutazione della capacità contributiva di professionisti e aziende.
La presunzione bancaria è uno strumento utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per valutare la capacità contributiva di un soggetto, basandosi su dati bancari e finanziari. In sostanza, si analizzano i movimenti di un conto corrente per stabilire se il denaro depositato e le operazioni effettuate riflettono realmente la capacità di guadagno di un individuo o di un’impresa. Se un soggetto presenta un patrimonio che non è coerente con i redditi dichiarati, il Fisco potrà, dunque, presupporre che ci siano redditi non dichiarati (i cosiddetti proventi in nero).
La presunzione bancaria è regolata dall'articolo 32 del D.P.R. n. 600/1973. Questa norma consente all’amministrazione finanziaria di accertare i redditi attraverso l’analisi delle operazioni bancarie. Tuttavia, nel corso degli anni, si sono verificate diverse interpretazioni di questa disposizione. Un momento significativo è stato nel 2014, quando la Corte Costituzionale ha emesso la sentenza n. 228, dichiarando illegittimo un articolo di legge relativo alla presunzione bancaria e rimuovendo il termine “compensi” dal testo normativo. I giudici hanno, cioè, stabilito che le presunzioni legali non possono essere completamente escluse durante le indagini sui redditi da lavoro autonomo. Tuttavia, hanno limitato l’applicazione della presunzione bancaria solo ai prelievi, escludendo i versamenti.
È fondamentale, però, sottolineare che nella prassi giurisprudenziale ci sono due differenti presunzioni per l’articolo 32. La prima riguarda i versamenti, fondi che un soggetto deposita sul proprio conto corrente e sottoposti agli accertamenti fiscali, per i quali il contribuente deve dimostrare di averli considerati ai fini del reddito imponibile. In caso contrario, invece, va dimostrata la ragione per la quale non abbiano rilevanza tributaria. Poi ci sono i prelievi, i fondi che vengono ritirati dallo stesso conto, che non devono essere considerati dei ricavi nel caso in cui il contribuente non indichi il soggetto beneficiario oppure se non risultino dalle scritture contabili.
Questa distinzione è cruciale per la difesa del contribuente, poiché implica che i versamenti devono essere giustificati e tracciabili, mentre i prelievi non necessitano della stessa attenzione, purché non ci siano dubbi su di essi.
Una recente pronuncia della Cassazione ha confermato che la presunzione bancaria rimane in vigore e che i versamenti sul conto corrente di un professionista o lavoratore autonomo devono essere considerati per la determinazione del reddito. Ciò implica che il contribuente ha l’onere di fornire prove contrarie alla presunzione bancaria, dimostrando che i versamenti effettuati non costituiscono reddito imponibile.
Questa decisione ha un impatto notevole. In primo luogo, significa che il conto corrente diventa uno strumento di verifica non solo per il contribuente, ma anche per l’Agenzia delle Entrate, che può utilizzarlo per monitorare il reddito reale di un’impresa o di un professionista. Le operazioni bancarie, quindi, non sono più solo una questione di gestione finanziaria personale, ma diventano un elemento centrale nelle indagini fiscali.
Inoltre, sotto esame non ci sono solo i versamenti, che devono sempre corrispondere a documentazione contabile valida, ma anche i prelievi. Questi ultimi possono essere utilizzati come indicativi della non affidabilità delle scritture contabili. Questo porta a una maggiore attenzione da parte dei contribuenti sulla gestione delle proprie finanze e sull’importanza di mantenere registrazioni accurate e dettagliate.
L’accertamento bancario è uno degli strumenti principali utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per identificare redditi non dichiarati. Questo processo implica il monitoraggio dei movimenti bancari del contribuente per verificare che ogni operazione corrisponda realmente ai redditi dichiarati. L’accertamento può interessare diversi soggetti, tra cui imprenditori, liberi professionisti, lavoratori autonomi, imprese.
In caso di movimenti sospetti potrà, comunque, estendersi anche a persone fisiche, anche se non sono coinvolte in attività commerciali o professionali.
Quando un’impresa o un lavoratore autonomo è oggetto di un accertamento bancario, la presunzione investe non solo il suo conto corrente, l’eventuale libretto di risparmio, il conto titoli, ma anche le movimentazioni di altri soggetti o quelle transitate sui conti correnti di soci, amministratore e relativi familiari (ma in questo caso è onere del Fisco provare che il reale intestatario del rapporto bancario è titolare solo formalmente, mentre le movimentazioni sono state disposte da altro contribuente).
È essenziale, dunque, che ogni versamento sul conto corrente abbia una giustificazione valida. Questa può includere stipendi, pensioni, regali o risparmi, e deve essere supportata da prove documentali. L’Agenzia del direttore Ernesto Maria Ruffini esamina, però, non solo i versamenti ma anche i prelievi per verificare la provenienza delle somme e la loro destinazione.
Per i professionisti e gli imprenditori, mantenere, dunque, registrazioni accurate è fondamentale. Ogni operazione bancaria deve essere tracciabile e giustificata per evitare eventuali contestazioni da parte del Fisco. In particolare, i versamenti devono sempre corrispondere a documenti contabili, come fatture o scontrini, per dimostrare la loro legittimità.
In caso di accertamento bancario, il contribuente ha, comunque, la possibilità di presentare ricorso per dimostrare, attraverso prove documentali, la provenienza delle somme depositate e l’uso di quelle prelevate.
È altresì consigliabile utilizzare metodi di pagamento tracciabili, come carte di credito, bancomat o bonifici, perché possono facilitare la dimostrazione della legittimità delle operazioni. Inoltre, è bene tenere un conto separato per le spese personali, per evitare confusione tra le transazioni lavorative e quelle private.
Giusy Iorlano è giornalista professionista. Laureata presso la Luiss Guido Carli di Roma, due master, ha collaborato con numerose testate nazionali e internazionali occupandosi soprattutto di economia e finanza. Collabora da diversi anni con Milano Finanz
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